L’Italia che si uccide
I suicidi degli imprenditori dopo la crisi del 2008. Con scritti di Sapelli sulla pandemia
Giulio Sapelli e Lodovico Festa
Quella del Covid-19 è una crisi che non si era mai vista. Alcuni vanno a ricercare un’analogia con la Grande crisi del 1640, ritenuta la più grande dell’epoca moderna. Ma il confronto non regge. Soprattutto ci si interroga sulle conseguenze, seppur ignote e terrificanti. C’è un precedente storico da cui trarre qualche insegnamento, si tratta degli anni seguiti alla crisi finanziaria del 2007-2008. Per l’Italia sono stati anni durissimi. Non è più riuscita a ritrovare l’equilibrio e il tenore di vita che li precedeva. Addirittura, si è verificato un fenomeno tristissimo: decine d’imprenditori italiani – tanti veneti e di città di provincia – hanno iniziato a togliersi la vita con impressionante continuità e quotidianità all’inizio del 2012. In questi terribili gesti un intellettuale pubblico come Giulio Sapelli e un opinionista poco convenzionale come Lodovico Festa leggevano la risposta disperata a un trauma di abbandono e di mancata solidarietà del sistema sociale nei confronti del tessuto dell’impresa minore italiana. In quei “morti” italiani c’era soprattutto una sfida morale. Di fronte a una crisi di ampiezza ben superiore a quella del 2007-2008 vogliamo riproporre le riflessioni dell’epoca di Festa e di Sapelli perché una tale tragedia possa aiutarci a percorrere un cammino diverso. Questa seconda edizione del libro si amplia con l’inclusione delle pagine di Émile Durkheim sul suicidio anomico e sociale e con gli interventi pubblici, sulla stampa e in rete, di Sapelli durante la quarantena.